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Italian to Spanish: Forse sono come te General field: Art/Literary Detailed field: Cinema, Film, TV, Drama
Source text - Italian Sono le prime ore di una domenica estiva e Don Rosario, su richiesta di Don Alfredo, si reca all’Istituto di accoglienza per malati mentali. Il vecchio parroco ha bisogno del suo aiuto. Dopo la morte accidentale di uno dei pazienti, il Tribunale gli ha tolto la tutela di tutti i pazienti e ha emesso un’ordinanza che prevede l’immediata chiusura dell’Istituto e il trasferimento degli stessi in apposite strutture psichiatriche. L’unica soluzione è portare via i ragazzi prima dell’arrivo degli assistenti sociali. Un suo caro amico seminarista li ospiterà fino a quando non troveranno una sistemazione migliore.
Don Rosario, malgrado sia consapevole del pasticcio in cui sta per cacciarsi, non riesce a tirarsi indietro. Li accompagnerà a destinazione. Quella sera, al suo rientro in parrocchia, si inginocchia in raccoglimento davanti all’altare, ma uno strano rumore di fondo disturba la sua preghiera... un “intruso” russa a tutto spiano fra i banchi della chiesa! È suo fratello Vito, che non vede da ben 10 anni. Uno spiantato con il vizio del gioco d’azzardo. L’uomo ha saputo che Don Rosario ha venduto la casa dei genitori e vuole la parte dei soldi che gli spetta. Due scagnozzi gli stanno dando la caccia. Se non paga subito il suo debito, lo uccideranno.
Translation - Spanish Son las primeras horas de un domingo de verano y, a pedido de Don Alfredo, Don Rosario se presenta en el Instituto para Enfermos Mentales. El viejo cura necesita su ayuda. Luego de la muerte de uno de los pacientes, la Justicia le ha quitado la tutela de todos los demás, ordenando la inmediata clausura del instituto y la transferencia de los pacientes a otras instituciones psiquiátricas. La única solución es llevarse a los pacientes antes de que lleguen los asistentes sociales. Un seminarista amigo los hospedará hasta que encuentren una solución mejor.
A pesar de ser consciente del lío en que se está metiendo, Don Rosario no logra dar un paso al costado. Los acompañará a destino. Esa noche, cuando vuelve a la parroquia, se arrodilla para orar frente al altar cuando un extraño ruido interrumpe su plegaria… ¡un “intruso” ronca a pata suelta entre los bancos de la iglesia! Es su hermano Vito, que no ve desde hace unos buenos diez años. Un tipo arruinado por el vicio por el juego. Se ha enterado de que Don Rosario vendió la casa de sus padres y quiere la parte que le corresponde. Dos matones andan buscándolo. Si no salda sus deudas pronto, lo matarán.
English to Spanish: Pilares del éxito: la transformación de Recursos Humanos en Siemens General field: Bus/Financial Detailed field: Management
Source text - English At the back of the Mercer Asia HR Leaders’ Conference, we spoke with Mr. Michael Bokina from Siemens. In this fireside chat, Mr. Bokina shares the three key principles of HR Transformation at Siemens, namely - Core, Professional and Agile. He shares his experience of leading this transformation effort in a 350,000-people global conglomerate and what it takes to drive both efficiency and effectiveness of such a change management effort.
“Building Organizational Capability is at the heart of our culture. We have implemented in the last few years what we refer to as the “Ownership Culture’, wherein our business leaders run the businesses as if it were their own. HR’s responsibility within this cultural shift is to move away from the process of HR to more of a framework and provide guidance to the business. And this directly impacts the kind of direction and capability we need to have as HR.” - Michael Bokina, Vice President and Global Head – HR Org Effectiveness, Siemens
Translation - Spanish Durante la Conferencia de Líderes de Recursos Humanos de Mercer Asia, hablamos tras bambalinas con Michael Bokina, de Siemens. En una charla informal, Bokina detalló los tres principios clave que impulsan la transformación de RR.HH. en Siemens, a saber: los principios Esencialidad, Profesionalidad y Agilidad. Además, contó cómo fue liderar esa transformación en un conglomerado mundial de 350 mil personas y qué se necesita para impulsar la eficiencia y la eficacia de semejante iniciativa de gestión de cambio.
“La construcción de la capacidad organizativa está en el corazón de nuestra cultura. En los últimos años hemos implementado lo que nosotros llamamos ‘cultura de la propiedad’, en la cual nuestros líderes dirigen las empresas como si fueran suyos. La responsabilidad de RR. HH. en este cambio cultural es alejarse de los procesos específicos de este área hacia un marco más general y brindar orientación a la empresa. Y esto incide directamente en el tipo de dirección y en las capacidades que necesitamos tener en el área de RR.HH.” - Michael Bokina, vicepresidente y director global – Eficacia organizacional en RR.HH., Siemens
Italian to Spanish: Intervista a Chantal Ackerman General field: Art/Literary
Source text - Italian Elisabeth Lebovici: Volendo introdurre il discorso su Chantal Akerman con un’affermazione forte, bisognerebbe certamente parlare di confini, di frontiere, di limiti, dell’altro lato e del lato dell’Altro.
Quest’idea si rivela anche nel modo in cui ti rapporti con il tuo lavoro, il tuo mestiere, la tua professione: ti senti più legata al cinema sperimentale o ti senti parte della storia del cinema narrativo mainstream? Pensi di fare cinema o arte? O entrambi? Questa è la prima delle mie domande, perché tu sei una delle più importanti cineaste ad aver “compiuto l’attraversamento” alla metà degli anni Novanta. Che cosa pensi di questo sconfinamento verso la pratica artistica?
Chantal Akerman: La mia storia con le installazioni, probabilmente, non è un incidente, anche se anche se sembra esserlo: non sarebbe mai esistita senza Kathy Halbreich, allora a capo del Walker Art Center di Minneapolis, che mi chiese se avessi voluto realizzare qualcosa in un contesto museale. Erano, probabilmente, gli inizi degli anni Novanta, anni in cui il curatore Michael Tarantino aveva più volte osservato che i miei film esercitavano una forte influenza sugli artisti contemporanei. Sai, non ho studiato arte. Sono fuggita dalla scuola quando avevo 15 anni. Non ho mai davvero frequentato le mostre fino agli inizi degli anni Settanta, gli anni migliori per me, quando mi sono ritrovata in un piccolo gruppo dell’avanguardia newyorkese, insieme a Babette Mangolte, Jonas Mekas, Michael Snow, Annette Michelson, per i quali nutro il massimo rispetto... Ad ogni modo, la causa di tutto è stata Kathy Halbreich. All’epoca stavo lavorando a Night and Day. Kathy disse di essere interessata alla storia e io dissi di essere ugualmente interessata alla polifonia delle lingue: da vent’anni volevo andare nell’Europa dell’Est – che solo allora stava cominciando ad aprirsi – per lavorare con le diverse lingue slave che, sebbene distinte, sembrano abbastanza simili. Desideravo realizzare un’opera sui cambiamenti di voci e di lingue, un progetto che poi si è sviluppato per conto suo e in forma del tutto diversa: in D’Est, mentre la tessitura della colonna sonora è molto importante, non c’è una sola parola nel film. All’inizio volevo che lei producesse il film, non mi interessava la questione artistica. Nel frattempo ho trovato il denaro e ho realizzato From the East. Un anno dopo, forse due, mi fu detto che era stato raccolto denaro per un’installazione e cominciai ad armeggiare con il materiale filmico che avevo raccolto. Tutto accadde mentre lavoravo con tre bobine di pellicola e giocavo con il tempo. In queste tre bobine vidi quattro minuti che insieme funzionavano. Perché? Non lo so. C’erano quei quattro minuti. E poi trovammo otto volte quattro minuti, 24 video come in 24 immagini per secondo; è così che l’installazione prese vita. Scrissi l’ultima parte, la venticinquesima, in modo più astratto da un punto di vista visivo, ma con un testo molto intimo, che rimandava più all’idea di un memoriale. Trattava anche di limiti, di morte, dei campi. La mia fissazione per i confini viene dai campi. Quando si sfiora quel limite – e io l’ho sperimentato molto da vicino, grazie a mia madre, che è stata nei campi, ma non è mai riuscita, attraverso il racconto, a superare la sua ansia – esso si fa carico della sorgente dell’ansia e diviene un “Abietto ansioso”. In From the Other Side, per esempio, mostro il muro a mia madre e le chiedo che cosa le ricordi e lei risponde: “Lo sai cosa”. L’esperienza, quando è interiorizzata, si dà senza bisogno di parole, è trasmessa come una presenza spettrale, da cui non è possibile separarsi. Nel film Down There, il concetto di “Altro” assume maggiore complessità, perché è lo stesso lato, ma è anche l’altro, quello interno. Cerco di trovare una connessione con quest’interiorizzazione, perché è qualcosa con cui bisogna vivere e che vive davanti a noi, ma è difficile. Il motivo è che ho toccato un altro limite, me stessa.
Translation - Spanish Elisabeth Leibovici: Si quisiéramos presentar a Chantal Akerman con una afirmación fuerte, deberíamos sin duda hablar de confines, de fronteras, de límites, del otro lado y del lado del otro.
Esta idea se revela también en el modo en el que te relacionás con tu trabajo, con tu oficio, con tu profesión: ¿te sentís más ligada al cine experimental o te sentís parte de la historia del cine narrativo mainstream? ¿Dirías que hacés cine o arte? ¿O ambos? Esta es mi primera pregunta porque sos una de las cineastas más importantes en haber “pegado el salto” a mitad de los años 90. ¿Qué pensás de este cruce hacia la labor artística?
Chantal Akerman: Mi historia con las instalaciones probablemente no sea accidental, aunque lo parezca: no se habría dado sin Kathy Halbreich, la entonces directora del Walker Art Center de Minneapolis, que me preguntó si quería hacer algo en el contexto de un museo. Fue probablemente a inicios de los 90. Durante esos años, el curador Michael Tarantino advirtió varias veces que mis películas ejercían una gran influencia sobre los artistas contemporáneos. Nunca estudié arte. Abandoné el colegio cuando tenía quince. La verdad es que no frecuenté las muestras de arte hasta comienzos de los años 70, la mejor época para mí, cuando de repente pasé a formar parte de un pequeño grupo de la vanguardia neoyorkina junto a Babette Mangolte, Jonas Mekas, Michael Snow, Annette Michelson, por quienes tengo el más grande respeto… De todos modos, la causa de todo fue Kathy Halbreich. En ese entonces yo estaba trabajando en Noche y día. Kathy me dijo que le interesaba la historia y yo le dije que me interesaba la polifonía de las lenguas: hacía veinte años que quería ir a Europa del Este –que recién entonces se estaba empezando a abrir– para trabajar con las distintas lenguas eslavas que, si bien distintas, suenan bastante parecidas. Quería hacer una obra sobre los cambios de voces e idiomas, un proyecto que luego se desarrolló por sí solo y de un modo completamente distinto: en Del este, si bien la textura de la banda sonora es muy importante, no hay una sola palabra en toda la película. Al principio quería que ella produjera el film, no me interesaba la cuestión artística. Mientras tanto conseguí el dinero e hice Del este. Un año después, o dos, me dijeron que habían conseguido la plata para una instalación y empecé a armar algo con el material fílmico que ya tenía. En el momento estaba trabajando con tres rollos de la película y jugaba con el tiempo. En esos tres rollos vi que habían cuatro minutos que podían funcionar juntos. ¿Por qué? No sé. Estaban esos cuatro minutos. Y después encontramos ocho veces otros cuatro minutos, 24 videos como las 24 imágenes por segundo. Y así fue que la instalación tomó forma. Escribí la última parte, la vigésimo quinta, en un modo más abstracto desde el punto de vista visual, pero con un texto muy íntimo, que evocaba más bien la idea de un monumento conmemorativo. También trataba sobre los límites, sobre la muerte, sobre los campos. Mi obsesión con los confines viene de los campos. Cuando se toca ese límite –y yo lo he experimentado muy de cerca gracias a mi madre, que estuvo en los campos pero que nunca logró, por medio del relato, superar su angustia–, el límite se hace cargo de la fuente de angustia y se vuelve un "Abyecto angustioso". En Desde el otro lado, por ejemplo, le muestro la pared a mi mamá y le pregunto a qué le hace acordar y ella responde: "Ya sabés a qué". La experiencia, cuando es interiorizada, se da sin necesidad de palabras, se transmite como una presencia espectral de la que no es posible separarse. En la película "Ahí abajo", el concepto del Otro adquiere una complejidad mayor porque es el mismo lado, pero también otro lado, el lado interior. Trato de encontrar una conexión con esta interiorización porque es algo con lo que se debe vivir y que vive delante de nosotros, pero es difícil. La razón es que toqué otro límite: yo misma.
French to Spanish: Surfrider Foundation Europe - Guide del'organisateur General field: Other Detailed field: Environment & Ecology
Source text - French Environ 20 millions de tonnes de déchets issus des continents arrivent à la mer chaque année et tous sont d’origine humaine.
La plus grande partie des déchets marins est d’origine continentale. Ils sont issus d’activités à terre, ou d’une mauvaise gestion des déchets et sont acheminés dans le milieu marin par les rivières, les réseaux d’assainissements et le vent. Les activités humaines en mer (activités de pêche, exploitations conchylicoles, transport maritime etc.) génèrent également des déchets.
Les déchets aquatiques en général et les plastiques en particulier causent de nombreux dommages à l'environnement marin. Ingestion, étranglement, immobilisation, on estime que 690 espèces seraient affectées par les déchets marins. Par ailleurs, il existe des inquiétudes concernant l’impact sur l’environnement et sur les espèces (y compris les êtres humains) des éléments chimiques absorbés et libérés par les déchets plastiques. Les scientifiques craignent qu’à terme les perturbateurs endocriniens puissent s’accumuler dans la chaine alimentaire.
C’est donc dans ce cadre que Surfrider souhaite apporter sa contribution, par le biais de son programme « Initiatives Océanes ».
Translation - Spanish Alrededor de 20 millones de toneladas de desechos terminan en el mar cada año y todos son de origen humano.
La mayoría de los desechos marinos son de origen continental. Provienen de actividades terrestres o de la mala gestión de los desechos y son transportados al océano por ríos, redes de saneamiento y por el viento. Las actividades humanas en el mar (pesca, cría de moluscos, transporte marítimo, etc.) también generan desechos.
Les desechos marinos en general y los plásticos en particular causan varios daños al medio ambiente marino. Ingestión, estrangulamiento, inmovilización: se estima que estos desechos afectan a unas 690 especias. Por otro lado, existe preocupación por el impacto que los elementos químicos absorbidos y liberados por los desechos plásticos puedan tener sobre todas las especies (incluidos los seres humanos). Los científicos temen que, con el tiempo, los disruptores endocrinos terminen acumulándose en la cadena alimentaria.
Es dentro de este marco que Surfrider hace su contribución a través del programa "Iniciativas Océano".
I am a native Spanish speaker (Argentina) and can translate English, French and Italian. I am currently based in Genoa, Italy.
Two years ago I obtained an MSc in Translation Studies (with distinction) from the University of Edinburgh. My BA is in Communications.
I am currently working for Bureau Translations, ASAP QA Localization, Forbes Argentina and GamePress.
I am a journalist who switched to translation. I hold aBachelor's degree in Communication Sciences(Universidad Austral, Buenos Aires, 2006) and aMSc in Translation Studies with Distinction(University of Edinburgh, 2016). I have worked as a freelancer for some years now, focusing mainly on critical, academic and creative texts.
My field of expertise are: General, Product Description, Instruction Manuals, Localization, Marketing, Business (general), NGOs, Academia, Music, Arts. I am interested in expanding my field of work to other areas as well.